“La traviata” dall’1 al 9 dicembre

“La traviata”  dall’1 al 9 dicembre

Sette repliche dall’1 al 9 dicembre  per il titolo conclusivo della stagione lirica 2023

Approda al Bellini la celeberrima “Traviata degli specchi”,

creata nel 1992 dallo scenografo Josef Svoboda per lo Sferisterio di Macerata e la regia di Henning Brockhaus.

A Catania sarà José Cura a dirigere dal podio un  allestimento che ha conquistato il mondo.

 

Nel cast vocale il soprano Daniela Schillaci nel ruolo del titolo, il tenore Giorgio Misseri e il baritono Franco Vassallo

CATANIA – Una grande parete specchiante riflette la scena per far sentire il pubblico  parte integrante della rappresentazione. E attrarlo magneticamente in un vortice in cui il voyerismo si tramuta prima in sdegno e alla fine in tragedia. Sarà il Teatro Massimo Bellini ad ospitare l’edizione uno spettacolo lirico ormai entrato nella leggenda:  “La traviata” verdiana messa in scena nel 1992 dal famoso regista Henning Brockhaus nell’allestimento ideato dal geniale scenografo Josef Svoboda per lo Sferisterio di Macerata.

“La traviata degli specchi”, come viene definita, approda a Catania a chiusura della stagione di opere e balletti 2023. Sette le repliche dall’1 al 9 dicembre.

Continua intanto la campagna abbonamenti. Fino al 30 novembre è possibile esercitare il proprio diritto di prelazione per rinnovare l’abbonamento alla stagione lirica 2024 e alla stagione dei recital 2023/24.  È al contempo possibile sottoscrivere nuovi abbonamenti.

E torniamo alla Traviata. In primo piano l’Orchestra e il Coro dell’ente lirico etneo che ospita ancora una volta artisti di chiara fama  Sul podio José Cura, direttore d’orchestra oltre che tenore di statura internazionale. Maestro del coro Luigi Petrozziello; costumi di Giancarlo Colis, coreografie di Valentina Escobar, luci dello stesso Brockhaus Allestimento della Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi.

Nel ruolo del titolo il soprano Daniela Schillaci, in quello di Alfredo il tenore  Giorgio Misseri, in quello di  Giorgio Germont il baritono Franco Vassallo, i quali nelle repliche si alterneranno rispettivamente con il soprano Evgeniya Vukkert,  il tenore Matteo Mezzaro  e il baritono Francesco Landolfi.

Si succedono nei ruoli anche Elena Belfiore  e Alessandra Della Croce (Flora Bervoix), Sonia Fortunato e Albane Carrère (Annina). Completano il cast Massimiliano Chiarolla (Gastone), Gianluca Lentini (Il barone Douphol), Dario Giorgele (Il marchese d’Obigny), Gaetano Triscari (Il dottor Grenvil), Francesco Napoleoni (Giuseppe), Daniele Bartolini e Alessandro Martinello (commissionario), Alessandro Martinello e / Massimiliano Bruno (domestico).

A loro il compito di animare una produzione divenuta il miglior biglietto da visita per l’originale  spazio scenico marchigiano, dove ha visto la luce ed è stata riproposta in luglio per la decima volta. Di più: una produzione da esportare. Da quella prima edizione firmata da Svoboda e vincitrice del Premio Abbiati della Critica musicale italiana, tante sono state, oltre a quelle  maceratesi, le riprese  in Italia e all’estero. Henning  Brockhaus, anche dopo la scomparsa dello scenografo ceco, ha rimontato lo spettacolo, con esiti memorabili, da Pechino a Seoul, da Nagoya a Melbourne e Baltimora, da Istanbul, a Lubiana, da Valencia a Muscat (prima Traviata messa in scena in Oman). E poi in Italia, in spazi altrettanto prestigiosi: Opera di Roma, Teatro Massimo di Palermo, Lirico di Cagliari, Regio di Torino, e ancora a Firenze, Napoli, Parma, Genova, Trieste, Verona, Sassari, Busseto, Arezzo, Ascoli Piceno, Fermo e Jesi.

È lo stesso Brockhaus a parlare della longevità dell’allestimento: «La faccio in continuazione, eppure questa Traviata  non mi annoia mai. E credo che non abbia perduto la sua freschezza e il suo impatto originari. Ovunque il pubblico rimane profondamente colpito, reagendo con lunghi applausi, in Turchia come in Corea, in Giappone, in Italia. A grandi linee è sempre il medesimo spettacolo, anche se i dettagli possono cambiare per adattarsi ai caratteri fisici degli interpreti vocali.»

La lettura di Brockhaus sposta in avanti l’ambientazione  nel primo Novecento della sensuale Belle Epoque, ispirandosi alla pittura di Giovanni Boldini per riprodurre l’opulenza ma anche  la decadenza del demi-monde parigino.

Tutto è pronto,  dunque, al Bellini per rivivere ancora una volta l’immortale storia d’amore di Violetta e Alfredo,  il melodramma in tre atti musicato da Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, tratto a sua volta dal dramma La Dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio.

La traviata conclude, dopo Rigoletto e Il trovatore, la cosiddetta “trilogia popolare”.  Superato il contestato  debutto alla Fenice di Venezia nel 1853 per l’audacia del soggetto,  l’opera si è imposta ai vertici del teatro musicale entrando nell’immaginario e nel favore del grande pubblico, anche non avvezzo alla lirica.   La struggente partitura esalta il libretto di Piave, intitolato inizialmente Amore e morte e focalizzato sulla  negata libertà di amare, sacrificata sull’altare di convenzioni sociali insuperabili per i contemporanei di Verdi. Tanto  che il compositore, per superare la censura,  dovette retrocedere al Settecento un racconto dagli evidenti  tratti biografici e autobiografici. Vi si rispecchiano infatti le vicissitudini di Marie Duplessis, la famosa 11¹cortigiana parigina amata da Dumas e consumata dalla tisi, ma anche la vita vera di Giuseppe Verdi e del grande soprano Giuseppina Strepponi, legame osteggiato all’inizio dal suocero del compositore, il pur paterno e amorevole Antonio Barezzi, contrariato a causa del burrascoso passato della cantante.

Da questi vissuti trasfigurati prende corpo il doloroso canto di Violetta Valery, giovane donna a sue spese esperta del mondo, che rinuncia ad Alfredo per salvaguardare l’onore dell’amato e della sua famiglia. Una scelta che la eleva da cortigiana al rango di eroina, pronta a morire per amore, rinnovando in ognuno di noi la commozione ad ogni ascolto. Perché Violetta è vittima emblematica della morale benpensante, sorte alla quale Verdi saprà sottrarre la sua Peppina, accanto alla quale vivrà a lungo un sentimento profondo. E insieme riposano ancora oggi nella cripta di Casa Verdi, che i due coniugi hanno voluto e costruito per dare asilo ai musicisti meno fortunati nel loro destino di uomini e donne.