Dal sacro al profano, tra pieno Classicismo e incipiente Romanticismo

Dal sacro al profano, tra pieno Classicismo e incipiente Romanticismo

Dal sacro al profano, tra pieno Classicismo e incipiente Romanticismo. È questo il percorso che unisce la locandina del concerto sinfonico-corale, che vedrà impegnate le compagini orchestrale e corale del Teatro Massimo Bellini sotto la guida di Elio Boncompagni, che ritorna a dirigere nella sala del Sada, dove più volte è stato ospite e aveva inaugurato la stagione sinfonica del 2015. Per il suo nuovo impegno al Bellini affronta pagine di Mozart e Beethoven, che danno conto dell’evoluzione della scrittura musicale austro-tedesca a cavaliere tra Sette e Ottocento.

In apertura l’ultima pagina sacra composta dall’autore delle Nozze di Figaro per Salisburgo, dove era a servizio del principe-arcivescovo Hieronymus von Colloredo. Si tratta delle Vesperæ solennes de confessore, composte nel 1780, che suggellano un percorso – appositamente elaborato su richiesta del severo committente – che comprendeva anche due celeberrime messe, la K 317, detta ‘dell’Incoronazione’, e la K 337, la Missa solemnis, ma anche due intonazioni dei vespri, K 321 e, appunto, K 339. L’ultimo componimento preserva la straordinaria ricchezza dello stilus mixtus, imposto dal canone napoletano, che associava al fasto di pagine scopertamente operistiche il rigore di alcuni passaggi ispirati al contrappunto controriformista palestriniano, onde evocare i valori eterni e immutabili della religione. L’eleganza asciutta e severa, imposta da Colloredo, si associa ad alcuni tratti convenzionali del genere: la scelta della luminosa, assertiva tonalità di do maggiore; l’uso di una strumentazione particolarmente fastosa, che includeva trombe, tromboni e timpani ma escludeva le viole, secondo un’antica traduzione salisburghese; un calore di ‘affetti’ che trapela nel celeberrimo Laudate Dominum, autentica aria per soprano di cullante temperatura espressiva.

Completa la locandina uno dei capolavori del sinfonismo di primo Ottocento, la celeberrima Quinta Sinfonia in do minore, op. 67, di Ludwig van Beethoven. Composto nel 1806, tenuto a battesimo nel corso di una memorabile accademia al Theater an der Wien il 22 dicembre del 1808 e pubblicato a Lipsia un anno più tardi, il componimento brilla per una rete di rimandi, a cominciare dal perentorio motto iniziale nel quale l’amico Anton Schindler lesse la presenza del «destino che bussa alla porta». Titolo esemplare del periodo ‘eroico’ del compositore di Bonn, costituì un modello per il secolo a venire, celebrato sin dal suo apparire: E.T.A. Hoffmann, sulle colonne dell’«Allgemeine Musikalische Zeitung», elogiò l’attacco, in cui la sinfonia «sale in un climax sempre crescente, trasportando irresistibilmente l’uditorio nel regno infinito degli spiriti.» L’artista tedesco perfettamente aveva compreso l’ideale beethoveniano, ideale trasposizione in musica degli ideali kantiani da una situazione iniziale di conflitto al loro titanico superamento finale.

Una materia tanto ardua e complessa vedrà in campo un formidabile dispiegamento di forze: l’Orchestra e il Coro del Teatro Massimo Bellini, quest’ultimo sotto la direzione di Luigi Petrozziello; e un quartetto internazionale di solisti, per il brano mozartiano, che annovera il soprano Silvia Dalla Benetta, il contralto Rachele Raggiotti, il tenore Klodjan Kaçani e il basso Sinan Yan. Protagonista della vita musicale non solo europea dell’ultimo mezzo secolo, Elio Boncompagni salirà nuovamente sul podio del Bellini. Allievo di direttori leggendari del calibro di Franco Ferrara e Tullio Serafin, è stato direttore musicale del Théâtre royal de la Monnaie di Bruxelles, direttore artistico e musicale del San Carlo di Napoli, direttore stabile al Volksoper e allo Staatsoper di Vienna, Generalmusikdirektor ad Aachen. A lui si devono, tra l’altro, le revisioni critiche di due rari titoli donizettiani, Don Sebastiano, nella versione italiana, e Maria di Rohan, in quella viennese.